LA NUTRIZIONE PER IL CLIMBER: QUESTA SCONOSCIUTA
Da sempre appassionata ed entusiasta praticante di svariati sport, ho approfondito la mia conoscenza anche di sport da me non direttamente praticati, ritenendo fondamentale per svolgere al meglio la mia professione avere un’approfondita conoscenza della materia non soltanto dal punto di vista strettamente teorico riguardante l’aspetto nutrizionale. Credo che sia indispensabile per un professionista che si occupa di nutrizione sportiva conoscere la disciplina sportiva praticata dai propri clienti, avere un’idea piuttosto chiara di come si svolgono i diversi tipi di allenamenti e competizioni, cercare di capire come i trainer sviluppano le tabelle di allenamento, per poter comprendere in modo profondo l’interessamento dei vari gruppi muscolari nell’esercizio sportivo e riuscire a determinare nel modo più preciso possibile l’intervento necessario per renderli più performanti.
Il mio interesse si è quindi esteso allo studio della letteratura scientifica sui requisiti “antropometrici” per ottimizzare il fisico allo svolgimento di ciascuna determinata attività sportiva e a come intervenire nutrizionalmente per raggiungere lo scopo.
La nutrizione “sportiva” non è soltanto il pre-gara, il durante la gara e il reintegro dopo gara.
E’ la nutrizione quotidiana adattata al ciclo (macro o micro) di allenamento, al tipo specifico di sessione di allenamento e solo dopo diventa come alimentarsi in e peri-gara.
Sulla maggior parte delle attività sportive esiste un oceano di letteratura.
Recentemente mi sono avvicinata al mondo del climbing iscrivendomi ad una palestra di arrampicata ed iniziando a praticarlo, scoprendo “sulla mia pelle” un mondo ai più sconosciuto.
Ed ho iniziato a studiare. Ed a cercare, con mio grande stupore scoprendo che al di là della solita aneddotica da addetti ai lavori la ricerca scientifica sul tema è veramente prossima allo zero.
Esistono alcuni studi che hanno indagato sulle caratteristiche antropometriche e sulle skills peculiari del climber, con pochi soggetti arruolati, quindi con risultati non sempre statisticamente significativi.
Intanto come in tutti gli sport tra i praticanti amatori e gli atleti elite c’è una differenza abissale e dal momento che è uno sport con una enorme base tecnica, qualsiasi considerazione sui requisiti “fisici” e costituzionali va presa con le pinze poichè le skills tecniche posso ampiamente compensare quello che dal punto di vista muscolo-scheletrico può risultare carente.
In generale essendo uno sport in cui la forza di gravità è la forza principale a cui opporsi, un peso ridotto, con una ridotta massa grassa è chiaramente auspicabile.
In generale la maggior parte degli studi indica come ottimale un fisico asciutto, longilineo, con un APE index (rapporto tra ARM SPAN e altezza) elevato (superiore a 1), nel puglilato si parlerebbe di “buon allungo”.
Uno studio recente evidenzia come ciò che fa realmente la differenza tra climber evoluti e professionisti “top” è la forza e la resistenza dei muscoli flessori dell’avambraccio, che in questi ultimi risulta nettamente superiore [1]. L’elemento determinante quindi sembrerebbe la forza delle dita che differenzia nettamente non soltanto i climber dai non-climber, ma anche i climber elite da quelli “amatori” [2].
Essendo il climbing consistente principalmente in una serie di contrazioni isometriche ripetute a carico dei flessori dell’avambraccio, la maggior parte dei test si è concentrata nel valutare l’entità della MCV (Massima Contrazione Volontaria) in test isometrici effettuati con dinamometro (handgrip) che è risultata superiore nei climber rispetto ad individui sedentari [3], ma sorprendentemente il tempo ad esaurimento dello sforzo massimale in realtà non è risultato significativamente differente.
La differenza diventa invece statisticamente significativa ed evidente quando si va a valutare la resistenza a contrazioni isometriche ripetute con brevi intervalli di resting [3,4], in questo test i climber risultano notevolmente più performanti, grazie alla superiore capacità di rimozione dell’acido lattico e al ridotto riflesso detto “metaboreflex” che nella popolazione dei non-climber provoca un incremento sproporzionato nella frequenza cardiaca rispetto al consumo di ossigeno misurato come VO(2).
Necessita un breve approfondimento sulla fisiologia del climbing a livello muscolare.
Il climbing è uno sport che comporta una serie di contrazioni isometriche prevalentemente a carico degli avambracci, in particolare la presa delle dita è determinata dai muscoli flessori degli avambracci. Il metabolismo aerobico alattacido in questo caso non è interessato nello sviluppo della forza muscolare, che sarà invece prodotta dal metabolismo anaerobico alattacido (sistema della fosfocreatina) e dal sistema anaerobico lattacido (glicolisi anaerobica).
Il primo meccanismo consente di produrre molta energia per pochi secondi (8-10, max 15), sostenendo sforzi di natura esplosiva ma di brevissima durata, dopo i quali la cellula muscolare impiegherà energia fornita dal sistema AEROBICO per ripristinare la scorta di ATP-fosfocreatina.
Il secondo meccanismo utilizza come substrato il glucosio per la produzione di ATP in assenza di ossigeno. E’ un sistema molto più rapido di quello aerobico (che richiede presenza di ossigeno), ma può essere sfruttato per sforzi di durata comunque limitata, dal momento che comporta la produzione di ACIDO LATTICO, che accumulandosi nel muscolo produce affaticamento muscolare fino ad inibirne la contrazione.
Questo meccanismo di produzione energetica riveste particolare importanza in attività sportive che richiedono l’espressione di forza massimale per un massimo di 2-3 minuti.
L’acido lattico accumulato richiederà circa 15 minuti per lo smaltimento (la famosa GHISA nota anche ai bodybuilders).
E la resistenza?
La maggiore resistenza del climber allenato risiede nella migliore efficienza data dall’allenamento nei sistemi di “rimozione” dell’acido lattico, e nella migliore capacità di sfruttare il metabolismo aerobico per ripristinare l’efficienza dei meccanismi di produzione dell’energia anaerobici (un pò come le auto elettiche che utilizzano la benzina per “caricare le batterie” del motore elettrico).
Torniamo ora al punto.
Sorprendentemente dal punto di vista della nutrizione del climber sembra tutto ancora lasciato al caso.
Dalle premesse sulla fisiologia del climbing emerge come il tipo di sforzo sia simile a quello di uno sprinter (soprattutto nel caso del bouldering) o al massimo di un mezzofondista veloce (800-1500 m).
Ed in effetti l’allenamento si basa soprattutto su lavori lattacidi (su System wall o Moonboard, con Pan Güllich, anelli, sbarra ecc…), ma soprattutto sull’arrampicata stessa.
Le considerazioni sul dispendio energetico e sul fabbisogno proteico sono quindi sorprendentemente analoghe a quelle che si dovrebbero fare in un programma di allenamento di uno sprinter, anche per quanto riguarda l’aspetto del recupero.
Solo recentemente una review [5] ha preso in esame in modo più approfondito i fabbisogni nutrizionali nel bouldering, che pur essendo stato per decenni il ripiego “invernale” in palestra del climber ha ora assunto la dimensione e la dignità di sport a se, spesso venendo praticato ormai in modo esclusivo da molti climber.
Il bouldering differisce per molti aspetti dalla classica arrampicata lead, concentrando in pochi movimenti molto più esplosivi e “muscolari” le difficoltà di un’intera via.
I climber dediti al bouldering risultano essere anche “antropometricamente” differenti dai climber che praticano lead, in quanto carattarizzati da una maggiore massa muscolare ed una percentuale di massa grassa leggermente superiore.
Si può dire che la differenza tra boulder e lead sia accostabile alla differenza tra 100 m e 800 m.
Il peso è un elemento fondamentale sia per chi pratica boulder che per chi pratica lead, ma come in altri sport praticati a livello elite è stata posta l’attenzione sul rischio di un’eccessiva riduzione del peso corporeo, suggerendo la necessità di attuare delle strategie più oculate per il raggiungimento tramite interventi nutrizionali mirati del peso ottimale.
Inoltre dal momento che carenze nutrizionali e strategie alimentari sbagliate sono risultate compromettenti la performance a livello competitivo, l’argomento della nutrizione del climber merita sicuramente un’attenzione speciale.
[1] The role of physique, strenght and endurance in the achievements of elite climbers. Ozimek M, et al. PLoS One 2017
[2] A comparison of the anthropometric, strenght, endurance and flexibility characteristics of female elite and recerational climbers and non-climbers. Grant S, et al. J Sports Sci. 2001.
[3] Physiological determinants of climbing-specific finger endurance and sport rock climbing performance. MacLeod D, et al. J Sports Sci. 2007
[4] The phisiology of rock climbing. Giles LV, et al. Sprots Med. 2006
[5] Nutritional Consideration for boudering. Smith JL, Storey R, Ranchordas MK. International Journal of Sport Nutrition and Exercise Metabolism. 2017.